I microcontrollori e i microprocessori sono dispositivi elettronici molto usati all’interno della maggior parte di dispositivi di uso quotidiano, come le lavatrici, le televisioni e gli smartphone.
Sebbene svolgano ruoli simili, questi due componenti presentano molte diversità tra loro, sia in termini di potenza di elaborazione dei dati, sia in termini di consumo energetico, sia in termini di applicazioni.
In questo articolo, Eurek ti spiega nello specifico la differenza che esiste tra microcontrollore e microprocessore.
Cos’è un microcontrollore?
Il microcontrollore, definito anche MCU (MicroController Unit) è un circuito integrato digitale studiato per concentrare in un unico pacchetto di piccolissime dimensioni diversi elementi. Per questo motivo al suo interno presenta sì una CPU (ovvero un microprocessore), ma non solo: contiene anche una memoria dati volatile (la RAM), una memoria di programma non volatile (la ROM/FLASH), almeno un timer e svariate unità di ingesso uscita (UART, SPI, etc). Esistono anche microcontrollori più complessi, dotati di differenti periferiche quali porte di comunicazione Ethernet, USB, comparatori oppure convertitori A/D e pilotaggio di display grafici LCD.
Grazie alla sua potenza di elaborazione, all’ampia varietà di periferiche di cui può essere allestito, alle dimensioni compatte e all’elevata presenza di linee di ingresso e uscita, il microcontrollore è ideale per essere impiegato all’interno di sistemi embedded. In questi sistemi elettronici il dispositivo viene incorporato all’interno della macchina da controllare e non può essere riprogrammato per altri scopi, ovvero viene progettato per svolgere precise applicazioni per tutto il ciclo di vita.
E, invece, il microprocessore?
Il termine microprocessore è un sinonimo italiano per definire la CPU, ovvero la Central Process Unit. Come suggerisce la sigla si tratta un’unità di calcolo centrale che, principalmente, si occupa di gestire rapidamente tutte le operazioni aritmetiche e logiche che riguardano i processi di un computer. Questo componente è costituito da uno o più circuiti integrati, definiti anche microchip, dedicati all’elaborazione di istruzioni e informazioni.
La capacità di contenere in un unico spazio diversi transistor, che sono l’elemento caratterizzante del chip, e i conduttori, che sono i circuiti che si occupano di trasportare la corrente elettrica da un componente all’altro, consente di includere tutte le capacità del microprocessore in un package dalle dimensioni compatte. Tuttavia, per funzionare al meglio, questo elemento richiede integrazioni esterne al chip, come ad esempio la RAM o le periferiche di ingresso e uscita (I/O).
Quali sono le differenze principali?
La differenza principale, come si può notare dall’organizzazione dei due componenti, è la loro struttura. Il microprocessore, senza l’impiego degli altri componenti elettronici, non è completo e quindi non è in grado di operare: senza l’utilizzo di una RAM, senza una scheda madre e senza una memoria di massa (hard disk, SSD o microSD) in cui eseguire il sistema operativo, non è possibile far funzionare il computer. Il microcontrollore, disponendo già al suo interno di tutta l’elettronica necessaria al suo funzionamento, è autonomo. Per funzionare necessita solo dell’elettronica esterna per rapportarsi con il mondo esterno: è per questo motivo che diverse schede hardware dispongono di pin attraverso le quali è possibile interfacciarsi con sensori, attuatori e tutto ciò che concerne l’elettronica embedded.
Un microcontrollore, dato che la capacità della ROM/FLASH al suo interno è limitata, è pensato per avere un singolo programma da eseguire e spesso è sprovvisto di sistema operativo o, perlomeno, dispone solo di un sistema operativo limitato che gli permette di effettuare operazioni real-time. In questo caso, ogni operazione viene eseguita entro un certo lasso di tempo predeterminato.
Al contrario un sistema a microprocessore non può funzionare senza un vero e proprio sistema operativo installato, il quale permette una gestione multitasking: ovvero, consente di eseguire più processi in parallelo. Tuttavia, il sistema operativo solitamente non è real-time : per questo, in alcune applicazioni il sistema a microprocessore è comunque affiancato anche da uno o più microcontrollori.
Le diversità nella struttura di questi due componenti si riflette, poi, nelle applicazioni d’uso. Il microcontrollore, siccome condensa tutti gli elementi in un unico compatto package, non dispone né di una potenza di calcolo elevata, né di una RAM ampia: questo perché la sua destinazione d’uso principale sono mansioni molto semplici, dai bassi consumi e dalla bassa densità di calcolo. Il microprocessore, invece, è pensato proprio per eseguire calcoli molto impegnativi e molto pesanti: ciò comporta dimensioni meno compatte e la dipendenza da componenti esterni aggiuntivi.
Le differenze di organizzazione e di applicazione d’uso a cui sono destinati influisce sul numero di bit dell’architettura di sistema e sul numero di “core”, differenziandoli. Proprio perché i microcontrollori sono pensati per operazioni molto semplici, il numero di bit si limita a 8, 16 o 32 bit e sono di solito costituiti da un singolo “core”. I microprocessori, invece, possono essere 32, 64 o in alcuni casi 128 bit, e proprio perché devono occuparsi di operazioni più complesse sempre più spesso si trovano più istanze del microprocessore all’interno dello stesso package detto multi-core.
In conclusione
Nonostante entrambi vengano utilizzati nel campo dell’elettronica, i microcontrollori e i microprocessori sono componenti molto diversi tra loro. I primi riuniscono al loro interno tutti gli elementi necessari al funzionamento e sono ideali per svolgere operazioni semplici e specifiche. I secondi, invece, possono essere definiti come il cuore di un computer e, per funzionare, necessitano di diverse integrazioni esterne. Proprio grazie alla loro struttura, sono perfetti per operare in contesti che richiedano l’esecuzione di calcoli e operazioni logiche particolarmente complesse.
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